| Print | |
Foucaultian Perspectives is a new section which aims to problematize, from a Foucaultian point of view, books that are neither by Foucault nor on Foucault. Therefore, the short papers and forums on these texts are not reviews in the strict sense of the term (since reviews consider a book in all its aspects and do not necessarily read it from an external perspective). They rather aim at establishing a critical tension between Foucault’s thought and a series of materials which are different from it in several respects. We hope that this encounter could generate new ways of questioning the books discussed here, as well as Foucault’s thought itself. Emanuele Leonardi Percorsi di ecologia (bio)politica Governamentalità e questione ambientale ne Il Mondo comune (Manifestolibri, Roma 2015), di Ottavio Marzocca Le società industriali avanzate hanno ormai imparato a fare quotidianamente i conti con la criticità ambientale come fatto politico ed economico. Non stupisce dunque che cambiamento climatico, organismi geneticamente modificati e perdita di fertilità dei suoli (per non citare che alcune voci di una lista che potrebbe estendersi di parecchio) rappresentino incontri piuttosto usuali lungo le strade dell’infosfera in cui viviamo. Quel che potrebbe sorprendere, piuttosto, è che assai meno frequente sia l’interrogazione filosofica sulla crisi ecologica: quali formazioni discorsive ci consentono di comprenderla? Quali pratiche di potere ne hanno favorito l’emergere (e quali potrebbero contrastarla)? Insomma: quali rapporti – storici, politici, epistemologici – intrecciano modernità e sostenibilità, produttivismo industriale e cura dell’ambiente, sviluppo sociale e limiti planetari? Posto che l’epoca contemporanea sembri certificare l’opposizione di queste coppie concettuali, si deve dedurne un’incompatibilità essenziale oppure si può ipotizzare che alcune linee di fuga oscurate dall’ossessione economica possano oggi essere riscoperte in funzione ecologica? È a queste domande che cerca di rispondere Ottavio Marzocca nel suo ultimo libro, Il mondo comune: dalla virtualità alla cura (Manifestolibri, 2015), la cui cifra stilistica peculiare è l’eclettismo dello sguardo filosofico. Infatti, l’autore chiama a raccolta una serie davvero eterogenea di pensatori (da Arendt a Deleuze e Guattari, passando per Virilio, Luhmann, Bateson, Magnaghi e tanti altri). Inoltre, più che l’analisi dei singoli apparati concettuali, a stupire positivamente sono le inedite linee di connessione con cui Marzocca tesse la trama della sua ricerca, costruendo efficaci piani di comunicazione tra percorsi filosofici non solo diversi, ma talvolta apparentemente divergenti. Si tratta di considerare i propri riferimenti teorici come cassette degli attrezzi da cui trarre strumenti utili ad articolare il rapporto tra filosofia e crisi ecologica. Così al concetto cardine di mondo comune, fondamento permanente che rende possibile le relazioni tra uomini, si affiancano nozioni polisemiche quali ambiente, territorio, città, terra – elementi spaziali da articolare nell’ottica di una sostenibilità tutta da costruire. Va tuttavia rilevato che la colonna portante di un tale, poliedrico edificio concettuale è rappresentata dal Foucault “biopolitico” degli anni settanta, cui Marzocca ha peraltro dedicato monografie di grande originalità[1]. Per questo, dal nostro punto di vista, l’elemento di maggior interesse del libro sta nella sua natura di ponte tra i governmentality studies e l’analisi socio-filosofica della questione ambientale, nella sua capacità di schiudere un campo di ricerca che potremmo definire ecologia (bio)politica. Dell’ecologia politica Marzocca recupera l’esigenza di pensare la crisi della natura nella sua non-autosufficienza, nella sua impossibilità a spiegarsi da sé: essa comporta infatti un incepparsi del produttivismo occidentale e del capitalismo industriale che possiede un’origine storica (l’emergere della governamentalità liberale nella seconda metà del XVIII secolo) e che domanda una soluzione politica (per esempio la garanzia di poter usufruire collettivamente dei beni comuni). Tra i limiti fisici dell’ambiente naturale e i limiti sociali del potere sta precisamente l’arte di governare, la cui funzione di filtro non può essere sottovalutata. Dall’ipotesi biopolitica di Foucault, invece, Marzocca estrapola l’idea che la governamentalità liberale instauri un nesso fondamentale tra natura ed economia politica. Infatti, nel momento in cui Foucault stabilisce una stretta relazione tra sicurezza e ambiente nel Corso del 1977-1978 (Sicurezza, territorio, popolazione), «egli si riferisce al sogno del liberalismo nascente di definire e far funzionare una correlazione sicura e benefica tra la “naturalità” dei meccanismi di mercato e i “processi naturali” che intervengono nel rapporto fra popolazione e mondo esterno. L’ambiente al quale si riferisce la governamentalità neoliberale è fin da subito una “natura” economicizzata che trova la sua verità ultima nei flussi della circolazione degli elementi e delle cose, delle merci e delle persone» (p. 107)[2]. È bene sottolineare che, nel tracciare questi percorsi di ecologia (bio)politica, Marzocca non è solo: si avvale infatti del contributo di studiosi foucaultiani che hanno messo a tema la cosiddetta environmentality (o governamentalità ambientale); sia di coloro che ne hanno enfatizzato il ruolo di dispositivo di potere/sapere[3], sia di coloro che ne hanno privilegiato i risvolti conflittuali come terreno di soggettivazione ambientale[4]. Tuttavia l’approccio de Il mondo comune mostra elementi originali che vale la pena sottolineare: focalizzando l’attenzione sul carattere duplice della naturalità governamentale (da un lato quella dei «meccanismi economico-produttivi della società», dall’altro quella dei «processi biologico-riproduttivi della popolazione»), Marzocca individua una biforcazione tra razionalità economicistica orientata alla crescita quantitativa e razionalità biopolitica orientata alla prosperità demografica. L’analisi prosegue mostrando come, nei paesi più ricchi, tale biforcazione non ha abbia fatto problema nei secoli XIX e XX (almeno fino agli anni sessanta), in quanto disinnescata dallo sfruttamento intensivo delle riserve biotiche e fossili nella periferia del sistema-mondo. Mi pare che qui Marzocca alluda alla trappola dello sviluppo come regime discorsivo e tecnologia politica, con i suoi (pochi) vincenti e (molti) perdenti. Oggi, tuttavia, quel nodo è venuto prepotentemente al pettine, sclerotizzandosi in maniera devastante: da un lato la retorica della green economy e del sodalizio tra dividendi finanziari e protezione dell’ambiente, dall’altro livelli sempre più inaccettabili di degradazione ecologica. L’articolazione ormai contraddittoria di questa doppia naturalità rappresenta a mio avviso l’avanzamento teorico più importante apportato da Marzocca in questo volume. In una pagina di grande efficacia, infatti, si può leggere quanto segue: «Oggi persino le conseguenze del cambiamento climatico si possono trasformare in proficue occasioni di investimento anche o proprio per i soggetti economico-politici che hanno contribuito massicciamente a provocare e a negare il fenomeno. Ciò non toglie che, in un modo o nell’altro, l’economia di mercato può comunque continuare a svilupparsi soprattutto attraverso una più vasta gamma di produzioni prive di finalità “verdi”, o decisamente contrarie ad esse, e la crisi ecologica può continuare a riprodursi ed aggravarsi» (p. 119). Marzocca porta giustamente come esempio i mercati-carbonio, istituiti dal Protocollo di Kyoto e santificati lo scorso dicembre dalla COP 21 di Parigi. Essi si basano sull’assunto dogmatico che, sebbene la crisi climatica si configuri come un fallimento del mercato (che in passato non ha saputo contabilizzare adeguatamente l’elemento ambientale), essa possa nondimeno essere affrontata solo sulla base di un’ulteriore mercatizzazione. Nuovi mercati dedicati implicano nuove merci che, a loro volta, producono una nuova modalità di accumulazione originaria. Nessuna apprezzabile riduzione delle emissioni di gas climalteranti, però. Qui il volume aiuta a comprendere l’evidente corto-circuito tra il (supposto) fine ecologico e gli (effettivi) mezzi economici dei mercati-carbonio. Infatti, sebbene nessun miglioramento ambientale sia stato ottenuto grazie ad essi, un’enorme quantità di ricchezza è stata tuttavia creata e di norma trasferita ad imprese cosiddette fossil-intensive (su tutte l’industria petrolifera) attraverso un meccanismo che si potrebbe definire rendita climatica[5]. Insomma, come il recente G7 giapponese ha mostrato al di là di ogni ragionevole dubbio[6], energie rinnovabili e nuove centrali a carbone possono tranquillamente convivere nel contesto dell’ethos economico contemporaneo. Detto dell’indubbio vantaggio analitico (ma in fondo pure politico) che la prospettiva di Marzocca presenta, credo sia opportuno segnalare come esso implichi anche un prezzo da pagare. Se infatti si individua nel naturalismo liberale una duplicità di logiche ordinate gerarchicamente – con la coppia concettuale produzione/crescita prevalente su quella demografia/prosperità – si rischia di non riuscire a sottolineare sufficientemente la discontinuità radicale introdotta dall’emergere della governamentalità neoliberale proprio in riferimento al nesso natura-economia politica. Nell’ambito del liberalismo, la naturalità del mercato è centrata attorno alla nozione di scambio e rimane dunque ben distinta dall’artificialità dei flussi di denaro, merci e forza lavoro che si mette in movimento. Invece, in un contesto neoliberale, la naturalità del mercato è direttamente creata secondo il principio di formalizzazione rappresentato dalla concorrenza. Seguendo la brillante intuizione di Luigi Pellizzoni, si può dire che la natura stessa debba essere artificialmente fabbricata affinché la struttura formale della concorrenza economica possa propriamente funzionare[7]. A me pare che questa naturalità artificiale propria del neoliberalismo – e legata al privilegio formale che esso attribuisce al principio-concorrenza – sia precisamente la condizione di esistenza della green economy come pratica governamentale. Essa costituisce quindi una novità non riducibile al modo liberale di intendere il rapporto tra natura ed economia politica. Da questo punto di vista non mi convince appieno l’ipotesi avanzata da Marzocca secondo la quale le condotte individuali ecologically correct si porrebbero in contrapposizione a stili di vita eco-dissipativi ma più performanti dal punto di vista della teoria del capitale umano. Credo piuttosto che le une e gli altri siano effetti soggettivi tutt’altro che incompatibili di un dispositivo di governo – per l’appunto, il capitale umano come istituzione che sempre più spesso si sostituisce al salario – che è in grado di imprimere da sé condotte sia individuali che collettive radicalmente diverse tra loro. Insomma, si può accrescere il proprio capitale umano sia facendo la raccolta differenziata con minuzia certosina che cambiando il proprio smartphone ogni sei mesi senza riciclarne i componenti: ciò che conta è portare “correttamente” la propria disposizione soggettiva sul mercato affinché esso guidi l’ingiunzione al lavoro (nuova versione della domanda) verso luoghi ad alta occupabilità (nuova forma dell’offerta). Rimane tuttavia indubbio che questo approccio per così dire “discontinuista” si rivela meno efficace di quello proposto da Marzocca nel dar conto della presenza simultanea di retoriche green e pratiche altamente impattanti (specialmente per quanto riguarda le politiche energetiche, come il referendum NO TRIV ha ben messo in luce). Sarà dunque il caso mettere a punto un’ecologia (bio)politica in grado di interpretare il processo di problematizzazione dell’ambiente cominciato nella seconda metà del XVIII secolo mettendo in luce persistenze e rotture tra ma anche all’interno delle fasi liberale e neoliberale della governamentalità. Da questo punto di vista è certo che Il mondo comune rappresenta per studiosi (e attivisti) un passaggio obbligato[8].
[1] O. Marzocca, Perché il governo, Manifestolibri, Roma 2007; Id., Il governo dell’ethos, Mimesis, Milano 2011. Vale la pena ricordare che Marzocca aveva segnalato l’importanza dei Corsi del 1977-1978 e del 1978-1979 con largo anticipo rispetto all’effettiva pubblicazione (avvenuta in Francia nel 2004), prima attraverso un ampio capitolo incentrato su Sécurité, territoire, population (Critica o genealogia? Foucault e la società oikonomica, in Transizioni senza meta, Mimesis, Milano 1998), poi con un lungo articolo su Naissance de la biopolitique (Foucault, l’economia e l’arte del minor governo, in «Tellus», n. 22 (2000), pp. 11-49), e successivamente con la traduzione, cura e introduzione di una selezione dei Dits et écrits pubblicati tra il 1975 e il 1984 (Biopolitica e liberalismo, Medusa, Milano 2001). [2] Ad un livello analitico differente ma a mio avviso non incompatibile si pone la notevole analisi della “razionalità mesologica” – intesa come governo degli uomini attraverso modificazioni apportate all’ambiente – condotta da Ferhat Taylan. Disponibile online qui (ultimo accesso 07/06/2016). [3] Si vedano É. Darier (a cura di), Discourses of the Environment, Blackwell, Oxford 1999; T. Luke, On Environmentality. Geo-Power and Eco-Knowledge in the Discourses of Contemporary Environmentalism, in «Cultural Critique», vol. 31 (1995), pp. 57-81. [4] Si vedano A. Agrawal, Environmentality. Technologies of Government and the Making of Subjects, Duke University Press, Durham 2005; O. Irrera, Environmentality and Colonial Biopolitics. Towards a Postcolonial Genealogy of Environmental Subjectivities, in S. Fuggle, Y. Lanci e M. Tazzioli (a cura di), Foucault and the History of Our Present, Palgrave Macmillan, Londra 2015, pp. 179-194. Ho tentato di fornire un contributo a questa linea di ricerca in Foucault in the Susa Valley. The No TAV Movement and Struggles for Subjectification, in «Capitalism, Nature, Socialism», vol. 24 (2013), n. 2, pp. 27-40. [5] Per un approfondimento di questi rilievi critici, mi permetto di rinviare al mio Carbon Trading Dogma: presupposti teorici e implicazioni pratiche dei mercati globali di emissioni di gas climalteranti, in «Jura Gentium», vol. 13 (in corso di pubblicazione), disponibile online qui (ultimo accesso 07/06/2016). [6] Si veda A. Sciotto, Il G7 promette bene poi investe sul carbone, «il manifesto», 25/05/2016. Disponibile online qui (ultimo accesso 07/06/2016). [7] L. Pellizzoni, Fabbricare la natura. Crisi ecologica, critica sociale e governamentalità neoliberale, in O. Marzocca (a cura di), Governare l’ambiente? La crisi ecologica tra poteri, saperi e conflitti, Mimesis, Milano 2010, pp. 175-196. [8] Si tratta peraltro di un passaggio già ulteriormente arricchito. Mi riferisco al recentissimo saggio di Marzocca, Bios, Ethos, Kosmos. Dalla biopolitica all’etopoiesi dell’abitare, in L. Bazzicalupo e S. Vaccaro (a cura di), Vita, politica, contingenza, Quadlibet, Macerata 2016, pp. 167-181. In queste pagine l’autore riprende e sviluppa il cap. 12 del testo qui recensito e in particolare la riflessione sul «sapere eco-poietico – un sapere che produce un rapporto etico di tipo abitativo con il mondo» (p. 240), che evidentemente si richiama all’analisi foucaultiana del “sapere eto-poietico” contenuta ne L’ermeneutica del soggetto [1982], Feltrinelli, Milano 2003. |