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Alessio Nesi Neuro-mania. Spunti di riflessione circa l'ipotesi dell'emergenza di una funzione-NEURO Review of Paolo Legrenzi, Carlo Umiltà, Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, Il Mulino, Bologna 2009 (128 p.) Capita spesso, sia nel parlare quotidiano che nel leggere un qualche articolo di carattere divulgativo, di imbattersi in espressioni che descrivono il cervello umano paragonandolo nel suo funzionamento ad un elaboratore elettronico o ad una rete di elaboratori[1]. Descrivere il funzionamento del cervello umano attraverso un tale modello computazionale può risultare utile, oltre che per spiegare le capacità umane di inferenza logica e di memoria, anche per formulare ipotesi esplicative sul dominio delle funzioni mentali superiori (in qualche modo integrandole alle funzioni cerebrali). Per spiegare il pensiero umano si utilizzerebbero, insomma, due livelli esplicativo-rappresentativi: un basso livello in cui opererebbe l'hardware umano, cioè il cervello con il suo metabolismo, le sue funzioni integrate, i suoi collegamenti e le sue memorie fisiche, ed un alto livello in cui "girerebbe" il software umano (rappresentato da tutte le funzioni intellettuali superiori). Simili verbalizzazioni sottintendono e, contemporaneamente, diffondono, l'idea dell'esistenza di una qualche forma di determinismo, o per meglio dire di meccanicismo, della mente umana. Tale idea, seppure spesso espressa ingenuamente o inconsapevolmente, sembra essere molto diffusa nel senso comune e affonda le radici della propria veridizione nel terreno di alcuni saperi di stampo scientifico o filosofico che, più o meno espressamente, ne svolgono i fondamenti. Per quanto riguarda il campo del sapere filosofico, possiamo ritrovare questa idea declinata principalmente in due modi: (1) una teoria riduzionista che riconduce tutti gli stati mentali a corrispettivi stati celebrali (ovvero una teoria dell'identità degli stati) e (2) una teoria funzionalista che riconduce parimenti gli stati mentali a determinati stati cerebrali, ma esclude un'identità in senso stretto, in quanto diversi stati cerebrali possono implementare un medesimo stato mentale. L'idea computazionale si è sviluppata a partire dalla declinazione funzionalista; i due principali autori che, partendo da questa supposizione di implementazione di funzionalità, hanno sviluppato l'idea che la mente stia al cervello come il software all'hardware sono Hilary Putnam e Jerry Fodor[2]. Il primo paragona il cervello ad una macchina di Turing. Il secondo riprende il modello funzionalista precedente e lo sviluppa affermando che il paragone cervello-macchina di Turing è buono, ma incompleto: infatti, la mente umana, al pari di una macchina di Turing, sarebbe un dispositivo per manipolare simboli (questa è l'essenza del modello computazionale) ma, mentre ogni macchina di Turing è un sistema computazionale chiuso (cioè tiene conto unicamente del suo ambiente interno), ogni mente è un sistema computazionale aperto (in quanto tiene conto dell'ambiente esterno). Perciò, secondo Fodor, un paragone adeguato sarebbe quello con un elaboratore di simboli capace di tenere conto dell'ambiente esterno attraverso dei dispositivi input[3] (esattamente come un moderno elaboratore elettronico). Benché il modello computazionale sia storicamente sorto dalla declinazione funzionalista può, a mio avviso, adeguatamente poggiare su una teoria riduzionista in quanto, una volta che si è stabilita una qualche forma di determinismo bottom up (cioè dal basso verso l'alto; dall'ambiente hardware/cerebrale all'ambiente software/mentale), poco importa, almeno a livello di senso comune, se la relazione tra i due stati è di identità in senso stretto o di "semplice" implementazione. Per quel che riguarda le pratiche scientifiche che permettono la circolazione di tale paragone computazionale, si possono osservare alcune tecniche che pretendono di ricondurre ogni funzione intellettuale umana e ogni stato mentale (pensiero, comportamento, memoria, immaginazione,...) a particolari stati fisici del cervello, esattamente come ad ogni stato dell'ambiente software corrisponde un qualche stato dell'ambiente hardware; ad esempio, la tecnica del neuroimaging funzionale, partendo dall'ipotesi che il funzionamento psichico sia collegato al metabolismo cerebrale, pretende di poter spiegare i comportamenti attraverso l'analisi metabolica del cervello[4]. Il testo di Paolo Legrenzi (psicologo cognitivo) e Carlo Umiltà (neuropsicologo) Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo promette (ma non mantiene, va detto fin da subito) di mostrare, attraverso un'esplorazione storica dei discorsi di verità di quest'ultimo tipo (cioè delle teorie e delle pratiche neurologiche aventi come obbiettivo la spiegazione delle funzioni mentali attraverso un'analisi fisiologica degli stati cerebrali), come mai da circa vent'anni tali saperi si stiano diffondendo a macchia d'olio, non solo negli organi di pubblicazione specializzati, ma anche nel senso comune. Ciò che gli autori di questo libro sembrano far balenare è l'ipotesi della progressiva emersione di un fenomeno epistemico-politico che vorrei chiamare, ricalcando il linguaggio foucaultiano, funzione-NEURO. Infatti, dopo una panoramica delle diverse teorie che sono state storicamente attive nel descrivere la relazione mente/cervello[5], i due autori avviano un'analisi delle moderne tecniche di mappatura cerebrale, mostrandone problemi tecnici e teorici e sollevando, infine, la questione di come tali tecniche, con la loro promessa di spiegare ogni aspetto del comportamento umano (promessa che comunque viene indicata come illusoria[6]), stiano a tal punto facendo presa sul senso comune da determinare il sorgere un intero range di nuove scienze caratterizzate dal prefisso "neuro". Sempre più spesso sui quotidiani troviamo spiegazioni del comportamento umano corredate da disegni, foto e sezioni del cervello. Le illustrazioni mostrano quella parte della nostra materia grigia che si attiva quando si pensa a qualcosa o si pianifica un'azione. Ci viene poi detto che quel nostro modo di agire dipende dal funzionamento di determinati neuroni. Addirittura si parla di nuove discipline come la neuroeconomia, la neuroestetica, la neuroetica, la neuropolitica, il neuromarketing. Persino la neuroteologia (21.800 voci su Google: provate la prima!)[7].
[1] Ad esempio, sul sito della rivista Le scienze si possono trovare espressioni come questa: «Una caratteristica del cervello che ha sempre lasciato perplessi i neuroscienziati è l'apparente 'instabilità' dei suoi circuiti, che sembra in netto contrasto con le sofisticatissime capacità di elaborazione che possiede»; "Anche il cervello ha il suo 'effetto farfalla'" (corsivo mio). [2] H. Putnam, Rappresentazione e realtà, Garzanti, Milano 1993; J.A. Fodor, La mente modulare. Saggio di psicologia delle facoltà, Il Mulino, Bologna 1988. [3] In realtà, Fodor arriva ad affermare che le funzioni mentali superiori non possono essere ricondotte a questo modello computazionale e, in sostanza, alla fine del suo libro, sembra svincolarsi dal suo modello funzionalista per introdurre una sorta di monismo anomalo, a mio avviso, affiancabile alle soluzioni proposte da Donald Davidson. [4] Cfr., ad esempio, J.P.J. Pinel, Psicobiologia, Il Mulino, Bologna 2007. [5] Panoramica che parte da Paul Broca e arriva alla tecnica del neuroimaging, spaziando da Angelo Mosso fino alla teoria dei neuroni specchio. [6] Neuro-mania, p. 41: «L'idea di poter “vedere” direttamente il cervello al lavoro, che tanto entusiasmò i non esperti, è fuorviante: ciò che si vede è il risultato di un artificio grafico che trasforma probabilità casuali in colori sovrapposti a una riproduzione schematica del cervello». [7] Ivi, p. 53. |