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Antonio Moretti La governamentalità oltre la biopolitica. Strumenti per l’autogoverno dell’ethos Recensione di Ottavio Marzocca, Foucault ingovernabile. Dal bios all’ethos, Meltemi, Sesto San Giovanni 2016 (211 p.) In Foucault ingovernabile, Ottavio Marzocca prosegue un lavoro che aveva prodotto i primi frutti nel testo del 2007, intitolato Perché il governo[1]. In quest’ultimo si trattava di prendere sul serio quel “laboratorio etico-politico” che Michel Foucault ha portato avanti dalla seconda metà degli anni settanta fino alla sua morte, ovvero gli anni successivi alla pubblicazione di Sorvegliare e punire e La volontà di sapere; si trattava, dunque, di porre le basi per una comprensione più profonda del periodo di silenzio editoriale coinciso con la revisione del programma della Storia della sessualità – auscultando l’imponente frastuono delle sortite minori di Foucault. Si trattava, insomma, di rimettere mano ad alcune categorie già date per scontate nella vulgata foucaultiana, per far emergere chiaramente tutta la pregnanza che il tema del governo assume per Foucault come risposta ai problemi sollevati dallo studio dell’analitica del potere. In questo nuovo saggio, Marzocca tiene ferma la centralità della chiave di lettura costituita dall’elaborazione delle tesi foucaultiane sul governo e si spinge più in là, mostrando come attraverso di essa sia possibile gettare luce su alcune evoluzioni del percorso di Foucault e, insieme, elaborare in maniera affatto nuova la relazione che la genealogia della governamentalità intrattiene tanto con le ricerche biopolitiche, quanto con il campo delle pratiche di soggettivazione e, più in generale, con le ricerche foucaultiane sul tema della cura di sé. Marzocca privilegia ancora una volta lo stesso periodo considerato nel suo lavoro del 2007, ma mette al contempo a frutto la pubblicazione della totalità dei Corsi al Collège de France, includendo nelle sue analisi, accanto agli ultimi testi pubblicati da Foucault, L’uso dei piaceri e La cura di sé, anche i corsi e le interviste degli anni ottanta. L’attenzione concessa alla moltitudine dei testi foucaultiani minori dal 1976 in avanti non nasce soltanto dalla mancanza effettiva di ulteriori testi editi cui fare riferimento; si basa piuttosto sulla consapevolezza che i primi contengano dei guadagni da considerare sostanziali per il percorso della ricerca foucaultiana. Bisogna evidentemente accettarne la natura in certo qual modo impervia: non abbiamo a che fare con punti fermi di un sistema filosofico, quanto con configurazioni mobili di concetti, ipotesi di lavoro incerte, sempre rilanciate in avanti in ogni Corso, in ogni seminario, in ogni intervista, vagliate, soppesate e rielaborate fino a conseguire una morfologia meno nebulosa. È per questo che Marzocca sostiene che Foucault raggiunge in questi testi risultati anche molto importanti, ma che essi vengono acquisiti in modo piuttosto sobrio ed essenziale (p. 43). L’autore si riferisce in particolar modo a quel lungo travaglio che si apre con la famigerata lezione inaugurale del Corso del 1976 (“Bisogna difendere la società”) in cui Foucault esprime il proprio disagio verso le sue ricerche precedenti, «disperse e al contempo assai ripetitive»[2], e manifesta l’esigenza di ripartire, nell’analisi delle relazioni di potere, da nuovi presupposti; da qui, il tentativo di avanzare l’ipotesi di Nietzsche della politica come guerra continuata con altri mezzi. Marzocca mette in luce come quella che alcuni lettori considerano la crisi di Foucault, testimoniata dall’abbandono dell’ipotesi del potere come guerra e dal successivo anno sabbatico al Collège de France, rappresenti allo stesso modo la certificazione che il filosofo francese sentisse la necessità di ripensarsi, di ripensare al suo modo di approcciarsi al problema del potere ben prima che parte dei suoi cultori ne sistematizzassero gli assunti nell’approccio della microfisica del potere o dell’analisi biopolitica; ben prima che i suoi detrattori ne ricusassero una presunta metafisica ubiquitaria del potere o l’incapacità di prospettare una vera politica[3]. Non è quindi un caso che sia precisamente in questo periodo, grosso modo compreso tra il 1976 e il 1980, che si svolge la gestazione delle tematiche principali su cui si articoleranno le ricerche condotte da Foucault fino alla sua morte: il progetto di una genealogia della governamentalità moderna, ossia della razionalità politica delle forme di governo, vede la luce proprio in quegli anni. Marzocca ne indica le tappe essenziali nel Corso Sicurezza, territorio, popolazione e nel Corso sul liberalismo (Nascita della biopolitica), così come nelle conferenze tenute alla Stanford University e intitolate Omnes et singulatim. Rileggendo sotto lo spettro ampio della genealogia della governamentalità l’ultimo tratto della ricerca foucaultiana, è possibile trarre importanti conseguenze. Da un lato, ciò consente di cogliere nel medesimo movimento di febbrile e incessante lavoro tanto le indagini sulle tecniche di dominio – che seguono quelle sulle discipline e quelle sulla biopolitica delle popolazioni – quanto quelle sulle tecnologie del sé. Possiamo infatti interpretare in questo modo l’occorrenza in cui Foucault sostiene: «“Governamentalità” è l’espressione con cui ho designato [l’]interdipendenza tra le tecnologie del dominio e le tecnologie del sé»[4]. Il fatto che il pensatore francese individui «il nocciolo della razionalità politica moderna nel mantenimento della correlazione tra attenzione all’individuo e potenziamento della totalità» viene di fatto a costituire il punto di ancoraggio dal quale si snoderanno e articoleranno i principali indirizzi dell’ultimo Foucault: i problemi legati al potere che individualizza, i problemi legati al potere che totalizza – e le loro interazioni. Tra questi, va tenuto bene a mente, soltanto i primi riceveranno una sistemazione definitiva, sebbene parziale, negli ultimi due volumi della Storia della sessualità (pp. 43ss.). Dall’altro, questa stessa nuova prospettiva riqualifica il senso e il peso che i due “lembi” della cerniera governamentale tiene insieme, ed è questa la parte più gravida di conseguenze del saggio di Marzocca. Inquadrare i due assi portanti della ricerca di Foucault successiva al 1976 nella ricerca più ampia che egli portava avanti sulla specificità del potere pastorale come modello della razionalità di governo occidentale, significa interrogare cos’è quella vita di tutti e di ciascuno di cui il potere, in quanto potere del doppio vincolo[5], si fa carico. Significa cioè domandarsi se il paradigma biopolitico sia il più adatto a rendere conto del governo degli altri e, nello stesso tempo, esaltare il carattere etopoietico delle pratiche di governo di sé. Ma andiamo con ordine. Marzocca si rende perfettamente conto che, quanto meno negli ultimi due decenni in Italia, la ricezione dell’opera di Michel Foucault è stata largamente filtrata dalla categoria di biopolitica. Essa è (stata) spesso interpretata come «la parola definitiva della ricerca di Foucault sul potere» (p. 63), non soltanto a causa della sua efficace fecondità. La forza euristica e la produttività di questo concetto sono infatti innegabili, qualora sia impiegato per rendere conto di alcuni fenomeni peculiari dell’attualità politica e geopolitica degli ultimi vent’anni (conflitti interetnici, guerre umanitarie, grandi flussi migratori intercontinentali, sviluppi delle biotecnologie e della ricerca genetica, ecc.). Facendo tesoro di questa straordinaria potenzialità, la filosofia italiana si è distinta proprio per la profondità con la quale il tema della biopolitica è stato affrontato e rielaborato da autori quali, tra gli altri, Giorgio Agamben, Roberto Esposito, Toni Negri o Paolo Virno[6]. Ma non va sottovalutata l’attenzione che a questo concetto è stata garantita dall’essere «il primo grande tema politico» (p. 65) ad emergere dalle pubblicazioni dei Corsi di Foucault: queste infatti cominciano nel 1997 proprio con l’edizione del Corso del 1976, “Bisogna difendere la società”, il Corso che, con i suoi riferimenti alla guerra delle razze e all’affermarsi della categoria di popolazione, risulta probabilmente il più biopolitico. Esso è inoltre coevo de La volontà di sapere, il testo in cui Foucault sistematizza l’idea di un biopotere inteso come anatomo-politica dei corpi e bio-politica delle popolazioni. Per converso, i Corsi immediatamente successivi saranno pubblicati nel 2004: «solo da quel momento – scrive Marzocca – si poté cogliere pienamente la centralità che il filosofo francese andava attribuendo alle “arti del governo”», mostrando il progressivo slittare dell’interesse di Foucault verso le sue varie ascendenze o discendenze: il potere pastorale, la ragion di Stato, la Polizeiwissenschaft, l’economia politica. Si può cioè osservare il crescente interesse di Foucault per quelle forme in cui il potere si è effettivamente fatto carico della vita degli individui non solo da un punto di vista strettamente biologico, ma della vita come ethos, secondo l’idea che «governare significa strutturare il campo di azione possibile degli altri»[7]. Marzocca sintetizza in questa maniera lo schema generale che può aver operato nello spostamento del fuoco delle indagini foucaultiane: Fra i temi indicati da Foucault, dunque, la biopolitica svolge una funzione di cerniera in un senso molto preciso e un po’ paradossale: proprio al momento in cui sembra destinata a imporsi su tutti gli altri temi politici come chiave di comprensione dei sistemi moderni di potere, essa comincia – per così dire – a lavorare a favore di un’altra possibilità di ricerca, che può essere sintetizzata nei termini seguenti. Nella società moderna l’esercizio del potere ha potuto assumere tanto intensamente la vita come proprio oggetto soprattutto da quando una certa razionalità politica si è imposta. Per riconoscere questa razionalità, tuttavia, non possiamo limitarci a cercarne gli elementi nel sapere biologico o nelle istituzioni e nelle pratiche mediche. Il sapere-potere biomedico nella nostra società è uno strumento fondamentale dell’esercizio del potere, ma non ne incarna la forma generale di razionalità (p. 75). È proprio dall’esigenza di collocare storicamente l’emergenza della biopolitica che verrà fuori la ricerca sul governo delle condotte. Ma Marzocca avanza l’ipotesi che questo esito sia anche agevolato dalla necessità manifestata da Foucault di spostare il ragionamento al livello della forma generale di razionalità dell’esercizio del potere. In un’evoluzione tutt’altro che lineare, Foucault lascia il suo lavoro sulla società punitiva, il potere psichiatrico e gli anormali, basato su un approccio locale-istituzionale alle relazioni di potere, per indagarne una possibilità di analisi che fosse al contempo più generale e basata su saperi minori; inoltre, come ipotesi di indagine, non fondata su un modello economico o giuridico della natura delle relazioni di potere. È con queste premesse che egli si rimette al lavoro nei Corsi del 1978 e 1979, dichiarando di proseguire il percorso di una genealogia della biopolitica – attraverso la strumentazione garantita dal concetto di popolazione, già identificato come «problema al contempo scientifico e politico, come problema biologico e come problema di potere»[8]. Ciononostante, in entrambi i corsi, sarà proprio la popolazione e i problemi teorici che crea a richiedere uno sguardo differente, poiché «guardandoli più da vicino» si approda immediatamente «al problema del governo»[9]. In Nascita della biopolitica, Foucault afferma che «l’analisi della biopolitica si può fare solo dopo aver compreso il regime generale di questa ragione di governo […], quel regime di verità che possiamo chiamare la questione di verità e in primo luogo della verità economica all’interno della ragione di governo»[10]. È dunque proprio all’economico che Foucault dovrà tornare, avendo trovato nell’«attenzione di tipo economico ai comportamenti, alle forze, alle risorse individuali e collettive» (p. 74) il modo di razionalizzare le relazioni di potere proprio dell’approccio dell’arte del governo. È in questo senso che il liberalismo assume un rilievo capitale nelle ricerche foucaultiane: esso esplicitamente eleva il mercato a meccanismo di veridizione[11], di criterio di validazione dell’esercizio del potere, dove questo esercizio consiste esattamente nel sapere quanto governare, quanto prendersi carico di comportamenti individuali e collettivi, nella misura in cui essi contribuiscono all’interesse individuale e collettivo, senza che se ne infici l’efficacia globale. Pertanto, una messa in prospettiva del valore della ricerca biopolitica ci consente di accedere al carattere più proprio della ricerca sul governo: il governo è governo dell’ethos, strutturazione, delimitazione delle possibilità di abitare questo mondo e questo tempo: L’analisi foucaultiana delle forme di governo rende evidente che entro i rapporti di potere cui esse danno luogo si dà quasi sempre una posta in gioco etica: se accettiamo o rifiutiamo di essere governati in un certo modo è anche perché accettiamo di aderire o resistiamo a un certo ethos, ossia a certi modelli di comportamento che ci vengono proposti o inculcati mediante discorsi che pretendono di dire la verità (saperi), e mediante tecniche di gestione della nostra vita (poteri) che si vogliono per lo più razionali ed efficaci (p. 14). La genealogia della governamentalità si articola dunque progressivamente con i temi che Foucault andrà affrontando in maniera sempre più esplicita a partire dal Corso sul Governo dei viventi: il governo e l’auto-governo dell’ethos. È a partire da questo punto che Marzocca cerca di far interagire ciò che distilla dalla ricerca foucaultiana con alcune possibili aperture sull’attualità, in vista di ciò che definisce un’«esigenza radicale di contro-condotta democratica, post-liberale e trans-economica» (p. 126). L’autore si impegna in una ricostruzione criticamente attenta e consequenziale delle lezioni di Foucault sul liberalismo e il neoliberalismo, alla luce del doppio vincolo governamentale e incrociandola felicemente con alcuni percorsi di ricerca della filosofia contemporanea. Ne emergono conseguenze interessanti. In primo luogo, Marzocca analizza la figura dell’homo œconomicus come portatrice di un ethos in senso foucaultiano, per scoprire se esso sia davvero quel punto di resistenza incomprimibile alle richieste del governo. A questo scopo, porta avanti un illuminante paragone con il parresiasta: se quest’ultimo intrattiene un «rapporto triangolare fra un impegno per la verità, un’attenzione critica al governo e una pratica etica della libertà» (p. 93), questa sembra almeno di primo acchito assimilabile all’indocilità verso il governo teorizzata dal liberalismo come attitudine del soggetto d’interesse. Ma ciò che emerge è piuttosto l’inverso: quell’immagine del soggetto che risulta «eminentemente governabile»[12], rinforzata dall’affermarsi dell’individuo-impresa come correlato delle teorie neoliberali del capitale umano. Facendo interagire i commenti di Foucault al discorso di Ludwig Erhard tenuto nel 1948 durante l’occupazione americana della Germania Ovest con le analisi di Dardot e Laval sulla critica della razionalità neoliberista[13], Marzocca suggerisce che questo tipo di soggettività è vincolata a una governamentalità che esercita «una nuova forma di governo delle condotte, basata sulla responsabilizzazione economica dell’individuo e della società» (p. 85). In ultima analisi, il soggetto liberale «può essere considerato libero e governabile al tempo stesso, poiché nella società liberale, da un lato, viene concepito come un uomo che può sentirsi libero se riesce a fare semplicemente il proprio tornaconto e, dall’altro, viene posto nelle condizioni politiche perché continui a comportarsi in tal modo, dando per certo che ne derivi un vantaggio generale» (p. 121). In secondo luogo, è questo stesso ethos liberale e neoliberale a costituire, in sé, un problema per la democrazia. A ben guardare, non esiste alcun legame privilegiato tra un liberalismo così inteso, come razionalità economica di governo, e le strutture democratiche (nel senso di sistema della rappresentanza e Stato di diritto) – e questo per una ragione ben precisa: il liberalismo non è che «una continuazione con altri mezzi della governamentalità essenzialmente economica inaugurata dalla Ragion di Stato e praticata dallo Stato di polizia mediante le politiche mercantiliste», che cioè continua a preoccuparsi essenzialmente dei loro stessi obiettivi: «arricchimento dello Stato, crescita della popolazione in rapporto allo sviluppo della produzione, equilibrio competitivo tra i Paesi». In un’analisi che tocca le riflessioni di Jacques Rancière e Colin Crouch sulla post-democrazia, o quelle di Maurizio Lazzarato sul governo dell’uomo indebitato[14], Marzocca utilizza Foucault per segnalare la non necessità dell’esistenza del liberalismo all’interno della democrazia, così come la possibilità di movimenti anti-democratici nella governamentalità liberale. In ultima analisi, il testo di Marzocca contribuisce in maniera sostanziale alla possibilità di rendere conto del percorso del pensiero foucaultiano in maniera più completa, ma senza rischiare di uniformarne in una lettura storicamente continuista tanto i punti di approdo e di rilancio, quanto le ricerche rimaste in sospeso o non approdate a niente. Foucault resta strutturalmente ingovernabile per chiunque ne cerchi un’unica chiave di lettura; al contempo, il passaggio dal bios all’ethos consente di aprire ancora innumerevoli possibilità per chiunque intenda farsi carico di lavorare con Foucault.
[1] O. Marzocca, Perché il governo. Il laboratorio etico di Foucault, manifestolibri, Roma 2007. [2] M. Foucault, «Il faut défendre la société». Cours au Collège de France. 1976, Seuil-Gallimard, Paris 1997; trad. it. di M. Bertani e A. Fontana, “Bisogna difendere la società”. Corso al Collège de France (1976), Feltrinelli, Milano 1998, p. 13. [3] Marzocca fa qui riferimento ad alcune critiche classiche all’analisi foucaultiana del potere. Cfr. i testi contenuti in AA.VV., L’impossible prison. Recherches sur le système pénitentiaire au XIXe siècle, a cura di M. Perrot, Seuil, Paris 1980; J. Baudrillard, Oublier Foucault, Galilée, Paris 1977; trad. it. di M. G. Meriggi, Dimenticare Foucault, Cappelli, Bologna 1977; M. Cacciari, F. Rella, M. Tafuri e G. Teyssot, Il dispositivo Foucault, Cluva, Venezia 1977; M. Cacciari, “Razionalità” e “irrazionalità” nella critica del Politico in Deleuze e Foucault, in «aut aut», n. 161 (1977), pp. 119-133. [4] M. Foucault, Tecnologie del sé, in Tecnologie del sé. Un seminario con Michel Foucault, a cura di S. Marchignoli, Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 14. [5] M. Foucault, Why Study Power? The Question of the Subject, in H.L. Dreyfus e P. Rabinow, Michel Foucault. Beyond Structuralism and Hermeneutics, Chicago University Press, Chicago 1982; trad. it. Perché studiare il potere? La questione del soggetto, in H.L. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault. Analitica della verità e storia del presente, Ponte alle Grazie, Firenze 1989. [6] Cfr., tra gli altri: G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995; R. Esposito, Immunitas. Protezione e negazione della vita, Einaudi, Torino 2002; Id., Bios. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004; A. Negri, Guide. Cinque lezioni su impero e dintorni, Raffaello Cortina, Milano 2003; M. Hardt e A. Negri, Impero. Il nuovo ordine globalizzato, Rizzoli, Milano 2001; P. Virno, Grammatica della moltitudine. Per una analisi delle forme di vita contemporanee, DeriveApprodi, Roma 2003. [7] M. Foucault, Il soggetto e il potere, in H.L. Dreyfus e P. Rabinow, La ricerca di Michel Foucault, cit., p. 249. [8] M. Foucault, “Bisogna difendere la società”, cit., p. 212. [9] M. Foucault, Sécurité, territoire, population. Cours au Collège de France. 1977-1978, Seuil-Gallimard, Paris 2004; trad. it. di P. Napoli, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), Feltrinelli, Milano 2005, p. 70. [10] M. Foucault, Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France. 1978-1979, Seuil-Gallimard, Paris 2004; trad. it. di M. Bertani e V. Zini, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), Feltrinelli, Milano 2005, p. 33. [11] Ivi, p. 42: «Il regime di veridizione, infatti, non coincide con una certa legge della verità, [ma] con l’insieme delle regole che consentono, a proposito di un discorso dato, di stabilire quali sono gli enunciati che potranno esservi caratterizzati come veri o come falsi». [12] M. Foucault, Nascita della biopolitica, cit., pp. 220-221. [13] Cfr. P. Dardot e C. Laval, La nouvelle raison du monde. Essai sur la société néolibérale, La Découverte, Paris 2009; trad. it. di R. Antoniucci e M. Lapenna, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, DeriveApprodi, Roma 2013; Id., Ce cauchemar qui n’en finit pas. Comment le néolibéralisme défait la démocratie, La Découverte, Paris 2016; trad. it. di I. Bussoni, Guerra alla democrazia. L’offensiva dell’oligarchia neoliberista, DeriveApprodi, Roma 2016. [14] Cfr. C. Crouch, Post-democrazia, Laterza, Roma-Bari 2005; J. Rancière, Il disaccordo. Politica e filosofia, Meltemi, Roma 2007; Id., Who is the Subject of the Rights of Man?, in «The South Atlantic Quarterly», vol. 103 (2004), nn. 2-3; M. Lazzarato, Il governo dell’uomo indebitato, DeriveApprodi, Roma 2013. |