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Stefano Casulli

Dentro la positività della formazione


Come recuperare l’armamentario foucaultiano nell’ambito pedagogico con Francesco Cappa (a cura di), Foucault come educatore. Spazio, tempo, corpo e cura nei dispositivi pedagogici, FrancoAngeli, Milano 2009 (256 p.)


I non addetti ai lavori potrebbero rimanere sorpresi che si debba parlare di un testo del 2009 per introdurre una discussione sul pensiero foucaultiano in ambito educativo. Tuttavia, il libro curato da Francesco Cappa, Foucault come educatore, rappresenta un contributo imprescindibile per chiunque voglia avvicinarsi in forma critica allo studio delle scienze pedagogiche e della formazione.

Il testo è frutto di un lavoro più che decennale operato da un nugolo di studiosi cresciuto attorno alla figura di Riccardo Massa nell’Università Bicocca di Milano, e rappresenta un sasso gettato nello stagno stantìo della ricerca teorica in pedagogia, in una fase storica in cui la graduale integrazione dei Dipartimenti di Scienze della Formazione nelle ricerche di settore si compone con la crisi del pensiero “eterodosso” di stampo marxista e attivista.

C’era (e c’è sempre più) un grande bisogno di affrontare, in maniera diretta e puntuale, il rapporto tra l’opera foucaultiana e le scienze della formazione: una relazione piuttosto sottaciuta e sommersa dalla miriade di studi filosofici, politici, sociologici e linguistici che in Italia e all’estero hanno ripreso gli articoli, le lezioni e i libri di Foucault. Un silenzio (interrotto in Italia da poche originali voci[1]) legato a tre fattori connessi. 1) Il “formativo” rappresenta il centro di ogni analisi foucaultiana: dagli studi sulla follia e sul carcere sino a quelli sulla sessualità e il governo del sé, in gioco c’è sempre un soggetto “in formazione”; ma proprio questa disseminazione rende complesso e intricato uno studio specifico sull’educazione come momento puntuale. 2) Paradossalmente, però, Foucault si riferisce in maniera esplicita al “pedagogico” soltanto in Sorvegliare e punire, nelle parti dedicate ai dispositivi scolastici e all’ortopedia pedagogica. Non c’è altra tematizzazione specifica. 3) In ultimo, la ricerca pedagogica sconta lo scetticismo non-autocritico di quegli “scienziati umani” che, nel riprendere l’analisi di Foucault, si troverebbero immediatamente posti sotto inchiesta nelle loro pratiche di produzione di verità e costruzione degli stessi oggetti del discorso pedagogico.

Foucault come educatore è dunque un testo (in)attuale, che impone uno spiazzamento capace di evitare i rischi di assolutizzazione o fissazione di idee e concetti propri della botîte à outils foucaultiana. Uno studio elastico, posturale, clinico, dal momento che il filosofo di Poitiers

può permetterci di accedere a uno sguardo sulla pedagogia da uno spazio non esterno, orientato da un qualsiasi quadro valoriale, ma da un’esperienza di “esteriorità” al potere e al sapere dei valori che pensavamo ormai costituiti (p. 10).

Foucault come antidoto contro i precettori e riferimento per una epistemologia critica in grado di svelare il sapere positivo presente nelle pratiche, laddove si riconosce che la verità è sempre ancora da fare.


La peculiarità del volume curato da Cappa sta nell’approccio teoretico alla lettura di Foucault: non un’archeologia dell’educazione[2], né uno studio letterale e storico-critico dell’intero corpus. Piuttosto, una ripresa della problematica epistemologica propria delle scienze umane, vedendo il “pedagogico” come un momento diffuso, trasversale e profondo, situato e sempre attraversato da pratiche (discorsive e non) di soggettivazione che rendono il soggetto ciò che è (e che può divenire). Uno studio dei dispositivi, dunque, in quanto elementi positivi dell’educazione[3] che incidono sulle relazioni e determinano i “giochi” di potere che coinvolgono le soggettività. Il pedagogico quale campo di emersione di una griglia a quattro entrate: sapere/potere e soggetto/verità. Ciò significa riconoscere la potenza del pedagogico in quanto esperienza formativa che fa del sapere-potere il punto di presa di un piacere, di una volontà, che diviene pratica di soggettivazione; al tempo stesso, questo approccio permette di verificare il campo della formazione come luogo paradossale e immanente aperto a reazioni e resistenze: è nelle pieghe della tecnologia codificata delle esistenze che si determinano pratiche di libertà e si generano vie di fuga.

Una ricerca teoretica situata, avente il doppio compito di recuperare agli studi pedagogici gli attrezzi foucaultiani e di aprire specifici campi di analisi, non può che prendere come proprio oggetto di partenza i “dispositivi primi” dell’educazione: il corpo, lo spazio e il tempo.


Il corpo è «quartiere di forza della verità»[4]: in quanto punto di snodo di una serie di pratiche e discorsi, esso segna la presenza al mondo della soggettività, divenendo così perno di qualunque azione su/con il soggetto/oggetto. Se già Merleau-Ponty svelava l’imprescindibilità del corpo nell’essere-nel-mondo del soggetto e l’ambiguità che comportava il suo rapporto in quanto corpo-proprio (Leib) e corpo-oggetto (Korpen), Foucault supera questa distinzione nei suoi molteplici studi sulla corporeità. L’ambiguità assume la forma concreta dell’esercizio (1), in quanto padronanza di sé ma anche assoggettamento disciplinare (l’allenamento ma anche la violenza coercitiva dell’addestramento); con gli studi sulla follia, il corpo diviene dispositivo integrale, tramite il quale si preleva un sapere medico sull’individuo e si organizzano strategie correzionali (2); Sorvegliare e punire racconta di un corpo che è via d’accesso e modificazione dell’anima, perno oscuro su cui organizzare meccanismi di disciplinamento e assoggettamento (3); in ultimo, nella storia della sessualità, si mostra il corpo come narratore dei desideri reconditi del soggetto e, al tempo stesso oggetto di un sapere scientifico che da essi prende spunto (4).

Una microfisica dell’educazione deve dunque partire da queste quattro forme di rapporto al corpo, ritrovandovi le attuali consonanze e svelandone i segreti impliciti: come vengono disposti i corpi? In che modo si agisce su di essi, alterandone le percezioni, strutturandone il campo semantico? Come si canalizzano e lasciano agire le loro possibilità? Una ortopedagogia deve saper indagare tutto questo, individuando anche le reazioni e i tentativi di fuga. Vi è infatti, nel corpo, una paradossalità[5] che richiama la possibilità u-topica, non situata, di fuggire e costruire altrimenti il mondo:

Il corpo [come] punto zero del mondo; laddove le vie e gli spazi si incrociano, il corpo non è da nessuna parte: è al centro del mondo questo piccolo nucleo utopico a partire dal quale sogno, parlo, procedo, immagino, percepisco le cose al loro posto e anche le nego attraverso il potere infinito delle utopie che immagino[6].


Il corpo è al tempo stesso il punto in cui vie e spazi si incrociano; assumere lo spazio come elemento base, dispositivo primo, di qualunque formazione diviene quindi imprescindibile. Ripensarlo in quanto elemento storico, in continua mutazione e consapevole elaborazione: è questo uno dei grandi insegnamenti della Storia della follia o di Sorvegliare e punire, come solo Erving Goffman (nel cui solco si situano non a caso gli studi di Foucault) riuscì a esplicitare tanto chiaramente:

Non si vive in uno spazio neutro e bianco; non si vive, non si muore, non si ama nel rettangolo di un foglio di carta. Si vive, si muore, si ama in uno spazio quadrettato, ritagliato, variegato, con zone luminose e zone buie, dislivelli, scalini, avvallamenti, gibbosità, con alcune regioni dure e altre friabili, penetrabili, porose[7].

Lo spazio è differenziato, ricco di sedimentazioni, buchi, deformazioni. Lo spazio è una macchina, un’area di oggettività possibile capace di agire sulla soggettività correggendo e raddrizzando, sollecitando e rinchiudendo. Assumerlo come elemento fondamentale di studio e autoriflessione pedagogica implica il riconoscimento di una fase storica in cui il dispositivo disciplinare (che ordina e isola) si compone con un dispositivo di sicurezza che prende in carico la popolazione come individualità allargata: gestire una massa delimitandone e sollecitandone la circolazione, in un’ottica di gestione e produzione del vivente[8]. E, più specificatamente, come si compongono e innestano questi dispositivi all’interno dell’ambito scolare? Come si rapporta lo spazio eterotopico della scuola con il fuori della società? Sono solo alcuni degli spunti possibili per una tecnologia dell’educazione, laddove con ciò si allude alla struttura spaziale, materiale ed esperienziale della formazione (p. 40).


Accanto all’elemento spaziale, quello temporale risulta determinante per distinguere la situazione formativa da una situazione qualunque. Se l’esperienza educativa diviene area potenziale tramite una composizione delle dimensioni simbolica, funzionale, rituale, iniziatica, prescrittiva, valutativa[9], quelle corporea, spaziale e temporale non possono mai venire meno.

La temporalità del tempo educante, e cioè del tempo che inerisce alla struttura dell’educazione come avanti intesa, sarà una temporalità di tipo esperienziale, come un foro che si apre al centro del quadrante temporale dell’allievo, insegnante, curricolo e istituzione formativa, configurando un luogo di luce che rinvia al tempo della vita reale. Ne consegue dunque il carattere estatico dell’accadere educativo, la sua esistenzialità, e cioè il suo collocarsi in un presente su cui preme il passato e si apre contemporaneamente il futuro[10].

In questo foro si apre lo spazio che il potere (educativo) vuole occupare, in quanto nucleo di quel rapporto tra tempo e soggettività, tra temporalità e pratiche del sé. L’analisi di Cappa, fondata sul recupero dell’approccio genealogico, mira a smascherare gli effetti di questo potere, per una pedagogia clinica (e critica) in grado di assumere consapevolmente il tempo come coordinata di azione senza renderlo arma di chirurgica trasformazione delle esistenze. Il carattere temporale del sé lo spinge ad auto-comprendersi come modificazione e alterazione: l’atto formativo è innanzitutto ciò che dona senso e composizione a questa dispersione del sé (finito) nel tempo. Solo la genealogia dei tempi può consentire di comprenderne la complessità e le sovrapposizioni, aprendo alla possibilità di un’esperienza eterocronica.


L’ultimo dispositivo chiamato in causa nel testo è quello della cura, intesa come pratica specifica della relazione con sé e con gli altri[11].

La questione della “cura” attraversa l’intero corpus foucaultiano: è cura (medica) quella del folle come quella (rieducativa) del carcerato; allo stesso modo, l’anatomo-politica del singolo e la biopolitica della popolazione sono due forme diverse di pensare la cura come presa in carico dello Stato e contemporanea organizzazione delle relazioni inter-individuali; ma rientrano nell’ambito della cura anche la pratica di normalizzazione della sessualità così come quella morale della confessione. Tuttavia, negli ultimi corsi (dall’Ermeneutica del soggetto al Coraggio della verità) e nei testi sulla storia della sessualità (L’uso dei piaceri e La cura di sé) emerge un approccio più articolato: la cura viene vista nella duplice accezione di relazione con sé e con gli altri, lasciando intravedere la possibilità di una pratica libera di questo rapporto, in cui l’esercizio come allenamento, la guida di un maestro come mèntore anti-educativo (capace di decostruire le abitudini aprendo la strada a un dar forma alla propria libertà), la conoscenza come scoperta non oggettivante divengono pratiche parresiastiche di vita “autentica”. Quali forme della cura si sovrappongono nell’ambito familiare? Cosa resta di autentico nella relazione scolare tra un formatore che seleziona e un discente selezionabile (e sanzionabile)?


Ora che la Clinica della formazione sta allargando il campo degli studi di stampo pedagogico a partire dai lavori di Foucault, un altro merito di Foucault come educatore sta nella ricchezza del suo apparato bibliografico, che riassume trent’anni di lavori pionieristici inserendoli in una griglia di ricerca che ha nello spazio/tempo, nel corpo e nella cura i propri capitoli di riferimento.

Se ha senso porsi domande sull’attualità, trent’anni dopo, di Michel Foucault nei nostri studi, allora urge rinnovare la battaglia a un’épistème, quella pedagogica, che appare in larga parte incapace di far proprio quell’illuminante approccio critico e metodologico.



[1] Cfr. F. Papi, Educazione, Isedi, Milano 1978; R. Massa, Le tecniche e i corpi, Unicopli, Milano 1986; F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, Clueb, Bologna 1986; A. Granese, Il labirinto e la porta stretta. Saggio di pedagogia critica, La Nuova Italia, Firenze 1993; R. Massa, Cambiare la scuola, Laterza, Roma-Bari 1997; A. Mariani, Attraversare Foucault. La soggettività, il potere, l’educazione, Unicopli, Milano 1997; Id., Foucault: per una genealogia dell’educazione, Liguori, Napoli 2000.

[2] Per la quale merita invece di essere letto il più recente testo di L. Vanni, Per un’archeologia della scuola, Clueb, Bologna 2011.

[3] Cfr. G. Agamben, Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma 2006, pp. 11-12.

[4] P. Barone, Il corpo come “quartiere di forza della verità”, in F. Cappa (a cura di), Foucault come educatore, cit., p. 133. Barone riprende un’immagine di Storia della follia nell’età classica, dove verità e soggettività si costituiscono a partire da una presa e da un lavorìo sul corpo attuato attraverso l’internamento dell’anormalità.

[5] Cfr. J. Orsenigo, Lo spazio paradossale. Esercizi di filosofia dell’educazione, Unicopli, Milano 2008.

[6] M. Foucault, Utopie. Eterotopie, a cura di A. Moscati, Cronopio, Napoli 2006, p. 12.

[7] Ibidem.

[8] Cfr. J. Orsenigo, Il gesto educativo come architettonica, in F. Cappa (a cura di), Foucault come educatore, cit.

[9] Cfr. F. Cappa, Eterocronia. Un’interpretazione foucaultiana della temporalità formativa, in F. Cappa (a cura di), Foucault come educatore, cit., p. 78.

[10] R. Massa, Le tecniche e i corpi, cit., p. 214.

[11] Ci riferiamo al quarto capitolo del testo: C. Palmieri, Ripensare la Cura attraverso Foucault, in F. Cappa (a cura di), Foucault come educatore, cit., pp. 177ss.

 
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