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È noto che, durante gli ultimi anni della propria vita, Foucault abbia cominciato a parlare di “tecniche” non più solo in relazione al corpo, ma anche a ciò che egli chiama “sé”. Come può essere concepito questo slittamento dalle tecniche disciplinari di dressage incentrate sul corpo alle tecniche di sé (che certo comprendono ancora il corpo, ma che forse non sono ad esso completamente riducibili)? In altri termini, crede che il concetto foucaultiano di “tecnica” applicato al corpo sia lo stesso di quello applicato al sé? E questa distinzione tra corpo e sé, e tra tecniche del corpo e tecniche di sé, può essere reperita – in qualche forma – anche nel pensiero di Mauss? M. Fimiani: La tecnica non è solo strumento ma, in senso greco e allargato, è produzione ed efficacia. La tecnica della vita – per Mauss e Foucault – è l’arte e l’uso del vivere secondo abilità e invenzione. Così come il corpo e il sé non sono dissociabili, perché non denotano i principi sintetici dell’animalità e della spiritualità. Ed è proprio la techne tou biou che assume l’intreccio del corpo e del sé. Mauss avverte che il corpo non esprime una “propria simbolica”, ma concentra in sé l’intera “simbolica dello spirito”. La vita umana, presa nel gioco della tecnica, è una stratificazione multipla. Il vivente non può che essere un montaggio variabile di carattere fisiologico, psicologico, sociologico, perché il sapersi della vita è esposto alla complicazione del “triplice punto di vista dell’‘uomo totale’”, dicono Les techniques du corps. Agli inizi del Novecento, lo spessore del simbolico rinvia ai saperi della vita, della psichicità e delle relazioni interumane. Anche per Foucault potremmo parlare di una complessa simbolica del corpo. Una simbolica tanto più pluricodica quanto più addensata dalla moltiplicazione dei saperi e delle sfere di cognizione della modernità occidentale. Dunque, il corpo è il sé, perché è sottratto alla sua organicità elementare. La nozione del “sé”, esplicitamente in uso nelle “tecnologie” foucaultiane, indica un’esperienza concreta singolare attraversata dai processi che la producono. In Foucault l’evidenza del corpo, la semplificazione organica, la vita nuda, appare solo complementare al potere punitivo, interdittivo, espulsivo o reclusivo. Il corpo organico è necessario alla spettacolarizzazione del supplizio e della morte, esibiti dal potere sovrano classico. La classicità si consuma nel passaggio alla strategia produttiva e assoggettante dei saperi moderni, dove i dispositivi del potere microfisico si incrociano, si alimentano e si rafforzano con i sistemi di veridizione. Il disciplinamento e l’occupazione della vita attivano strategie di controllo di gruppi – le riserve degli “anormali”, i folli, i malati, i criminali – e istituzioni di reclusioni e di panoptismo ritagliato. A partire dalla strategia moderna del controllo delle popolazioni e dei territori, il potere amministrativo e biopolitico del “far vivere”, del fare la vita, insegue la penetrazione e la produzione della complessità del vivente singolare, la straordinarietà dell’incremento, la sollecitazione dell’eccedenza, il calcolo del dettaglio, i movimenti e le azioni dei differenziali. Ed è nel quadro dell’occupazione pervasiva della fluenza che si gioca l’apertura del conflitto mobile e micrologico delle forze, che si “problematizza” la produzione del sé. Al tempo stesso, la nozione del sé produce uno scarto, perché introduce l’autoriferimento soggettivo, il riferimento del sé al sé, l’automovimento di produzione dell’esistente singolare, il farsi soggetto, la soggettivazione. Le “tecnologie del sé” legano il soggetto alla sua verità. In tal senso non va ignorata la componente di un’autoriflessività soggettiva nelle analisi di Mauss a proposito della nascita e dello sviluppo della categoria della “persona” e dell’“io”. L’autoprodursi del sé e di una individualità soggettiva è descritto come effetto dei cerimoniali arcaici di mascheramento, poi come coscienza di un soggetto giuridico nel diritto romano, come coscienza morale libera e responsabile nell’attitudine stoica, e infine come autocoscienza dell’“io” sovrano che è soggetto razionale puro e “forma fondamentale del pensiero e dell’azione”: un esito moderno, questo, che del sé ha smarrito – è il commento di Mauss – il carattere ancora oggi “fluttuante, fragile” e prezioso, che attende “ulteriore elaborazione”. In Foucault i processi di soggettivazione si legano essenzialmente ai concetti di “cura” e di alethurgia. Due lemmi ambigui e ossimorici, che spiegano, insieme, le pratiche di assoggettamento e quelle di liberazione. Alla tradizione della cura pastorale cristiana, trasmessa alle forme di guida permanente e continua del potere moderno – quest’ultimo avrebbe trasformato il “sacrificio di sé” delle finalità monastiche nell’effettiva produzione di un’“emergenza positiva, teoretica e pratica del sé” – si oppone la pratica della cura antica, quell’epimeleia di ispirazione socratica che persegue l’enkrateia e la sophrosune, la padronanza e la moderazione, e che fa del singolare una vita etica, politica, filosofica. Così come il vrai dire dell’alethurgia o dei rituali di manifestazione e di produzione di verità – di cui Foucault parla nel corso dell’84, Le courage de la vérité – lascia pensare come la sfera dell’obbligo a dire la verità oscilli tra l’obbedienza, la sottomissione e il dovere morale: fra i rituali aleturgici, ad esempio, la testimonianza e la confessione partecipano la verità a chi ascolta e a chi obbliga a parlare, il giudice e il confessore, laddove la parrhesia o il “parlar franco” produce eticamente il soggetto dell’atto di verità, un atto che apre la relazione conflittuale e rischiosa tra chi parla e chi ascolta. > Leggi la risposta di Jean-Marc Leveratto Sia Foucault, soprattutto nel corso al Collège de France del 1982 (L'herméneutique du sujet), sia Mauss, più fugacemente, in Les techniques du corps, fanno riferimento alle tecniche stoiche per esemplificare ciò che hanno in mente. Solo che, in Mauss, esse sembrano essere tecniche del corpo, il cui scopo sarebbe quello di «faire adapter le corps à son usage», mentre in Foucault hanno già a che fare con la dimensione più “vasta” del sé. Dove si può rintracciare, secondo lei, la differenza tra Mauss e Foucault in questo comune riferimento agli stoici, e dove si situa la frontiera tra tecniche del corpo e tecniche di sé a tal proposito? M. Fimiani: Anche a proposito del richiamo allo stoicismo si conferma come per Mauss il corpo sia il traversamento di una simbolica multipla e complessa. Les techniques du corps dicono che, per gli stoici, l’uso del corpo insegna sangue freddo, resistenza, serietà, presenza di spirito, dignità. Sicché il ruolo dello stoicismo – come ricordavo a proposito delle analisi del prodursi della persona e dell’io – è, coerentemente, quello di attivare una coscienza morale che, sottratta a ogni base metafisica, assegna alla vita singolare indipendenza, autonomia, libertà, responsabilità. Le analisi di Foucault sulla cura di sé riconoscono allo stoicismo un ruolo forte e centrale, ma ne segnano anche il limite. L’herméneutique du sujet segnala una continuità con l’epimeleia socratica e, in qualche senso, un affinarsi delle tecniche di addestramento e di elaborazione del sé. L’askesis degli stoici, diversamente dal platonismo metafisico e dall’ascesi cristiana, resta una pratica acquisitiva e non di rinuncia. L’obiettivo della cura stoica è, senza dubbio, la costruzione di una “soggettività protetta” e “imprendibile”. L’ellenismo rafforza l’idea di una produzione e di un controllo autonomo permanente della propria esistenza. Ma questa, di fatto, persegue la propria intransigenza sottraendosi alle patogenesi e alle deformazioni dei condizionamenti sociali, istituzionali, politici, materiali, di un mondo così respinto ed estraneo. L’effetto è la padronanza del sé, ma anche l’autoriferimento, la solitudine, l’indifferenza dell’esistenza singolare alla periferia di un mondo che, nelle tesi scompositive di Seneca e Marco Aurelio – come Foucault le descrive nell’Herméneutique – apre la frammentazione cosmica, mostra un presente frazionato e in dissolvenza, di fatto dominato da una condizione imperiale facilmente allusiva del nostro tempo. Come la cura di sé e l’attivazione delle forze etico-politiche di resistenza possano movimentare un legame con lo scenario imperiale, tanto simile al globalismo disgregante della contemporaneità, è un interrogativo che dovrebbe suggerire un approfondimento della questione stoica. E, forse, anche stimolare un esame degli appunti personali aggiunti da Foucault al margine delle lezioni sull’Herméneutique, appunti che, stando alla testimonianza di Frédéric Gros, sarebbero inediti e custoditi in faldoni d’archivio. |