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       Ogni operazione che mira a trasformare Foucault in parte integrante del consenso disposto attorno all’informe ideologia del «democratismo» è quindi una sorta di prevaricazione. E lo è tanto più essa si appoggia su una catasta di controsensi ben evidenti nei testi e fatta di assoluto misconoscimento di quel che potevano essere le disposizioni che sostenevano coloro ai quali il nostro autore fa riferimento. Degli enunciati, delle boutades, degli sviluppi foucaultiani sono costantemente fuorviati al servizio di una tesi pericolosa: far entrare l’autore di Sorvegliare e punire nel costume del filosofo-giornalista e riattivare ipso facto il grossolano sillogismo sopra menzionato. Foucault manifesta il suo interesse per «la grana più fine della storia» (a proposito del suo lavoro sulla “memoria” di Pierre Riviere), per il quotidiano, l’infimo, il dettaglio, e subito a sbandierare: «quotidiano!» – non è lo stesso materiale del giornalista?! Foucault, in uno di quei giochi di maschere di cui andava matto, indossa la maschera del «giornalista» per sviluppare meglio la sua nozione di «attualità», e subito si trionfa: guardate bene! Ecc. Ma alla fine: questa prefazione per il volume su Pierre Rivière in cui Foucault confessa la sua fascinazione per «il parricidio agli occhi del rosso» è davvero un testo di fattura giornalistica, un esempio di giornalismo benpensante? Questa grana minuscola della storia che egli identifica nei percorsi degli «uomini infami», di questa plebe perduta di cui gli archivi polizieschi dell’Ancien régime serbano la traccia, è davvero l’umanità che ogni giorno viene magnificata dagli scriba assicurati dalla grande stampa «democratica» dei nostri giorni? E quella serie di «reportages di idee» che Foucault consacrò al sollevamento iraniano che abbatté il regime dello Shah d’Iran, che non apparve in un giornale francese, e che si avvicina in un modo o nell’altro a quel che i giornalisti, quelli veri, videro allora in Iran? Foucault vi vede l’événement allo stato puro, in guisa di sollevamento irresistibile di un intero popolo, condotto da una forma di spiritualità politica là dove i suoi pretesi colleghi non vedevano, senza che ciò non comportasse un certo rischio, nient’altro che il «fanatismo dei mullahs»…

       Infine, il motivo di una «ontologia dell’attualità», elaborato da Foucault grazie a una rilettura molto densa del testo di Kant Risposta alla questione “Che cos’è l’Illuminismo?”, si trova talvolta rachitizzato nell’affermazione che il “coraggio” di restare nello spazio del giornalismo costituisce il «kantismo» di Michel Foucault! Nel tono della filosofia politica “per tutte le occasioni” che oggi imperversa, si costruisce un nuovo sillogismo tanto brillante quanto il precedente: Foucault s’è avvicinato a Kant, nei suoi due scritti a proposito del testo sopra menzionato, dunque Foucault è «kantiano»; Kant è l’alfa e l’omega del pensiero democratico moderno; quindi Foucault non è mai stato vittima di quell’«antidemocraticismo odioso» che è la figura contemporanea del Maligno.

Ricordo brevemente i termini in cui Foucault problematizza, appoggiandosi sul testo di Kant, il tema dell’attualità: la questione, nuova a suo modo di vedere, che pone il testo kantiano è: quale differenza è introdotta dall’oggi rispetto a ieri? Questo modo di interrogarsi presuppone, dice Foucault, che si sia entrati nell’età della critica, quest’ultima suppone una intensificazione del rapporto degli esseri viventi con il loro presente e una capacità di individuare ciò che è suscettibile di essere un evento. Questo modo di interrogarsi non è basato sulla feticizzazione dell’«attuale», dell’attualità, nel senso giornalistico del termine, ma viceversa sulla supposizione che qualcosa produca senso nel presente per una riflessione filosofica. Mi limito a citare la definizione che Foucault dà di questo «atteggiamento» dinnanzi al presente e delle disposizioni che essa presuppone (corso al Collège de France, 1983): «Rispondendo a questo interrogativo, Kant cerca di mostrare in che cosa questo elemento sia l’indicatore e il segno di un processo che riguarda il pensiero, la conoscenza e la filosofia; ma cerca anche di mostrare in che cosa e in che modo colui che parla in qualità di pensatore, di saggio, di filosofo faccia parte anche lui di questo processo e (ancora di più) come egli abbia una parte in questo processo, in cui sarà dunque, nello stesso tempo, elemento e attore».

E dal momento che non posso più andare oltre, mi accontenterò di porre la questione: riconoscete, individuate in questa definizione che si stabilisce tra un soggetto critico e la sua attualità il lavoro del giornalista contemporaneo, la sua relazione con il presente, con la Storia, con la politica? È questa disposizione dinnanzi al presente che individuate ogni giorno sulla prima pagina di Le Monde o di Libération?

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